Il Cuore nello Shivaismo Tantrico
seconda parte
Nei Tantra, si incontra abbastanza di frequente l'espressione di "Cuore universale", "Cuore divino" o "Cuore del Signore." Terminologia che è sempre in relazione alla nozione di "vibrazione" (spanda), secondo i commenti:
tattva o mahâsattvâ (Realtà estrema),
svarûpa (essenza),
shûnyatâ (vacuità),
âtman (Sé),
Coscienza assoluta (chiti, chaitanya, samvid)
Nella sua realtà di base, tuttavia, Paramashiva è immutabile, uguale al Parabrahman delle Upanishad. È Luce indifferenziata, indivisa, inalterabile, a volte coscienza-luce (prakâsha), splendente del suo proprio scoppio, ed energia cosciente (vimarsha) o energia, shakti che prende liberamente coscienza di Sé stessa con un primo brivido, un atto puro e vibrante (spanda), identico al respiro di vita (prâna).
Quel che più di tutto importa comprendere, è che la coscienza del soggetto e quella dell'oggetto, simboleggiate nel tantrismo da una coppia divina (yâmala), ne formano solamente una, non c'è traccia di dualismo ne' di panteismo, di creazionismo o di evoluzionismo, in questa dottrina. Shiva-Shakti costituiscono la realtà indissolubile di Paramashiva o Cuore universale.
Per ottenere questo stato - espressione che è solo un modo di dire perché in verità non c'è niente da ottenere, poiché siamo già questo cuore, - si parla, in alcune scuole, di riconoscenza", (pratyabhijñâ) o di "slancio" (udyama), due modi abbastanza simili per sottolineare il carattere puramente intuitivo, immediato e dinamico di ciò che è chiesto.
la riconoscenza, per ricuperare questa natura basta la propria "shivaità", cioè "riconoscere" questa nel proprio cuore con una presa di coscienza folgorante che non lascia spazio all'alternativa ed al dubbio, illuminazione non progressiva, non programmata, possibile in ogni istante nella percezione di un oggetto qualsiasi, (o lo "si è" o non lo si è, non lo si può essere "a metà").
Lo slancio è ciò che permette l'identificazione con l'assoluto, è un'adesione, improvvisa ed incondizionata della coscienza al fenomeno, come appare all'istante, sul vivo, senza sovrapposizioni. Questo un atto puro è "stupore" (chamatkara), e non si può mai produrre nel mentale che non utilizza che il noto, ma unicamente nel cuore, un solo atto per afferrare il brivido iniziale dell'energia. Ma, affinché questa verità "possa colpirci", bisogna lasciare le astrazioni e sposare la via (che, nella sua forma superiore, diventa una "non-via", anupāya, immergersi nella vita cocente, fatta di sorprese e di ostacoli.
Il mentale è composto di quattro facoltà principali:
Il tantrismo, in effetti, ha poca stima per la speculazione pura e la rinuncia ascetica. Non svela i suoi segreti che in una pratica, in seno ad un mondo che ritiene "reale" - differentemente dal vedanta di Shankara - poiché Shiva è la Totalità, a volte trascendente ed immanente, e niente, neanche il cambiamento, nemmeno l'illusione o l'ignoranza sono estranee a Shiva.
Intensificata, canalizzata, dominata, questa energia grezza riceve allora il nome di bhāvanā. Si tratta di una fa-coltà tantrica essenziale, che è impossibile rendere con una sola parola.
Questo accade perché, in questa via, vigilanza e lucidità sono indispensabili, quanto l ' "immaginazione vera." Inoltre bisogna precisare che la spontaneità non è lo "spontaneismo", come lo intendono certe correnti mo-derne. Non si tratta di una "mistica selvaggia", di una questua cieca ed infra-razionale di sensazioni occulte, non è ricerca di inquietudine o di estasi ad ogni costo.
Abhinava-Gupta risponde:
"Occorre che il saggio penetri nel suo cuore nel momento in cui la sua energia è molto eccitata; quando si im-merge nella pura energia soggettiva; quando accede all'estremità di tutte le nâdî; quando l'energia si ritrae nel Sé universale e sboccia, integrandosi a tutto l'universo. "
Uno dai Tantra più venerati del Cachemire, il Vijñâna-Bhairava, dice:
Il primo di questi mezzi fa allusione all' "effervescenza dell'energia" (shaktishobha), allo shock vibratorio che può suscitare, in un essere di sensibilità affinata e dotato anche di vîrya, ( la stessa radice del latino vir = forza, da cui virile ma anche vergine, in sanscrito ha un accezione come di “eroismo,nobiltà”).
Ogni piacere sensuale difatti rinvia all'energia della felicità divina (ânandashakti), o "punta" verso questa beatitudine, o ne è un riflesso se si guardano le cose in senso inverso; ogni desiderio, intimamente, è desiderio del Sé nella sua pienezza. Il godimento, che sia estetico o da innamorati, è per sua natura unificazione, abolisce o sospende la dualità tra soggetto ed oggetto. Il profano vive generalmente questi momenti come se fossero un pignoramento avido od un compenso ad un malessere - un chiarore breve in un'esistenza smorta -
È allora la "Riconoscenza" un ritrovare, ma in un modo inatteso, un essere caro, dopo una lunga separazione.
La maggior parte di questi mezzi di risveglio sono in qualche modo forniti dalla vita ed non li si può provocare, li si può solamente accogliere per trasformarli quando spuntano. Se hanno il favore degli shivaiti, è proprio a causa di questo carattere non costruito, non mentale, non prevedibile, rispetto ad altri procedimenti.
La conoscenza approfondita dei chakra, delle nâdi, altrimenti detta del corpo energetico, fa parte di questa tradizione, anche se la descrizione che ne dà differisce talvolta di quella delle scuole meglio conosciute in Occidente.
Bisogna specificare altra parte che la "vacuità" nella dottrina Trika è differente da quella che si incontra nei te-sti Mâdhyamika, sebbene alcune influenze reciproche non siano escluse e che, su un piano operativo, il tantrismo, indù ed il tantrismo buddista offrono delle grandi similitudini. Non si tratta qui di svuotare dall'essere, eliminare il Sé che resta indistruttibile, insostituibile per gli indù perché si confonde con la Coscienza stessa, ma di svuotare "questo essere", se si può dire, di tutto questo ciò che è "oggettivo", mentale o materiale, nome-e-forma), consiste nello "dis-oggettivare".
Una cosa è giocare filosoficamente con l'idea della vacuità ma è un'altra questione realizzarla direttamente nel proprio corpo e nel proprio mentale, fino a non essere più che una forma vuota, un'energia senza contorni, senza limiti, risplendente e vibrante. Richiedono un'arte anche le pratiche del respiro quando sono interiorizzate e non ridotte ad un semplice vir-tuosismo respiratorio in vista di ottenere dei "poteri."
Nel Trika bisogna guardare più avanti, perché questa tradizione non stabilisce una gerarchia tanto netta tra i centri e non considera la progressione da uno all'altro in un modo tanto sistematico.
Difatti il mondo non esiste indipendentemente dalla coscienza. L'oggetto appare con il soggetto, e sparisce quando il soggetto non c'è. Vegliando, sognando, dormendo senza sogni, passiamo di mondo, questo signi-fica da uno stato di coscienza, all'altro, e nessuno è più o meno "reale" dell'altro. Da un punto di vista estremo, l'universo non ha mai avuto inizio e non è mai finito per la semplice ragione che il tempo non esiste, non c’è un passato, che è un semplice fenomeno della memoria, ne’ il futuro, sempre proiezione della memoria, e neanche un presente (che, appena pensato, è già passato).
Non ci sono che istanti sempre "attuali", appena la coscienza li afferra questi non esistono più, non c'è una so-stanza chiamata "Tempo" che collegherebbe questi istanti tra loro, da nessuna parte.
L'istante, in verità, è solamente la "durata di un atto di coscienza." (Abhinavagupta, Tantrasâra, 60)
Questa coscienza unica "misura", sopporta le cose e presta loro una realtà. Lo yogî che non crede al Tempo, sa infilarsi nel vuoto interstiziale che divide gli istanti successivi, li disgiunge e li slega, per raggiungere il Cuore, l'istante-shock, l'istante eterno.
Al termine di questo viaggio al centro del Sé di cui abbiamo schizzato solamente alcuni aspetti, il pellegrino, diventato "re degli yogî" (yogîndra), avrà acquistato, senza veramente cercarlo, il doppio potere di Shiva: quello di ritrarre il mondo in uno solo punto, (samâdhi ad occhi chiusi: nimîlaramâdhi), e quello di manife-starlo, in una libera e totale espansione dei sensi, (samâdhi ad occhi spalancati: unmîlanasamâdh)i. Ed allora cosa gli resterebbe da compiere? Liberato di tutto, è libero da tutto. Niente gli è esterno. Percepisce tutto in lui come suo proprio Sé ed il suo corpo limitato è diventato il corpo cosmico di Bhairava, la "Meraviglia cosmica" (vapus). Uno con Shakti, indiscernibile da lei, "si conosce di per sé stesso." Nei confronti degli "altri" - che non vede più come realmente separati di lui - è solamente grazia, amore, sfavillio di doni e di favori. Se non è diventato ancora un "liberato in vita" (jîvan-mukta), la morte che non è altro, anche lei, che un intervallo e gli darà l'opportunità di fondersi infine nel Cuore di Shiva, il Molto-benefico.
liberamente tradotto da
LE COEUR DANS LE SHIVAISME TANTRIQUE DU CACHEMIRE
Pierre Feuga
seconda parte
Nei Tantra, si incontra abbastanza di frequente l'espressione di "Cuore universale", "Cuore divino" o "Cuore del Signore." Terminologia che è sempre in relazione alla nozione di "vibrazione" (spanda), secondo i commenti:
- L'universo intero deriva da una vibrazione originaria, che è detta fuori dal tempo, da uno stress (big bang), o da una vibrazione o pulsazione:
- l'universo "batte" e vibra. Questa pulsazione, questa vibrazione, è eterna.
- È il Cuore dello Shiva supremo (Paramashiva), detto anche:
tattva o mahâsattvâ (Realtà estrema),
svarûpa (essenza),
shûnyatâ (vacuità),
âtman (Sé),
Coscienza assoluta (chiti, chaitanya, samvid)
- sua caratteristica essenziale è la libertà (svâtantrya).
Nella sua realtà di base, tuttavia, Paramashiva è immutabile, uguale al Parabrahman delle Upanishad. È Luce indifferenziata, indivisa, inalterabile, a volte coscienza-luce (prakâsha), splendente del suo proprio scoppio, ed energia cosciente (vimarsha) o energia, shakti che prende liberamente coscienza di Sé stessa con un primo brivido, un atto puro e vibrante (spanda), identico al respiro di vita (prâna).
Quel che più di tutto importa comprendere, è che la coscienza del soggetto e quella dell'oggetto, simboleggiate nel tantrismo da una coppia divina (yâmala), ne formano solamente una, non c'è traccia di dualismo ne' di panteismo, di creazionismo o di evoluzionismo, in questa dottrina. Shiva-Shakti costituiscono la realtà indissolubile di Paramashiva o Cuore universale.
Per ottenere questo stato - espressione che è solo un modo di dire perché in verità non c'è niente da ottenere, poiché siamo già questo cuore, - si parla, in alcune scuole, di riconoscenza", (pratyabhijñâ) o di "slancio" (udyama), due modi abbastanza simili per sottolineare il carattere puramente intuitivo, immediato e dinamico di ciò che è chiesto.
la riconoscenza, per ricuperare questa natura basta la propria "shivaità", cioè "riconoscere" questa nel proprio cuore con una presa di coscienza folgorante che non lascia spazio all'alternativa ed al dubbio, illuminazione non progressiva, non programmata, possibile in ogni istante nella percezione di un oggetto qualsiasi, (o lo "si è" o non lo si è, non lo si può essere "a metà").
Lo slancio è ciò che permette l'identificazione con l'assoluto, è un'adesione, improvvisa ed incondizionata della coscienza al fenomeno, come appare all'istante, sul vivo, senza sovrapposizioni. Questo un atto puro è "stupore" (chamatkara), e non si può mai produrre nel mentale che non utilizza che il noto, ma unicamente nel cuore, un solo atto per afferrare il brivido iniziale dell'energia. Ma, affinché questa verità "possa colpirci", bisogna lasciare le astrazioni e sposare la via (che, nella sua forma superiore, diventa una "non-via", anupāya, immergersi nella vita cocente, fatta di sorprese e di ostacoli.
Il mentale è composto di quattro facoltà principali:
- ragione,
- memoria,
- volizione
- immaginazione passiva, (da distinguere da bhāvanā = creazione mentale, progettazione, , devozione, fede. bhava [bhav] esistenza, presenza, condizioni, stato, l'essenza).
Il tantrismo, in effetti, ha poca stima per la speculazione pura e la rinuncia ascetica. Non svela i suoi segreti che in una pratica, in seno ad un mondo che ritiene "reale" - differentemente dal vedanta di Shankara - poiché Shiva è la Totalità, a volte trascendente ed immanente, e niente, neanche il cambiamento, nemmeno l'illusione o l'ignoranza sono estranee a Shiva.
- La principale differenza tra i due "non-dualismi", quello del vedānta e quello del Trika, è incentrata sulla concezione della libertà. Il seguace del vedānta pensa essenzialmente a liberarsi", ad essere "libero da", ed egli mette per ciò l'accento sulla rinuncia, l'eliminazione, l'isolamento.
- L'approccio del Cachemire è inglobante, non esclude niente. È essere "libero di" ma in un senso positivo: "libero di fare".
Intensificata, canalizzata, dominata, questa energia grezza riceve allora il nome di bhāvanā. Si tratta di una fa-coltà tantrica essenziale, che è impossibile rendere con una sola parola.
- È al tempo stesso immaginazione creatrice, imaginatio vera, dicevano gli alchimisti, e non imaginatio phan-tastica, (l’immaginale descritto da Corbin)
- è potere intuitivo, capacità di evocazione sensoriale,
- concerne i cinque sensi e non solamente la vista, come si crede spesso,
- ha una elevata plasticità psichica ed una sensibilità spirituale iper-acuta, - la sua energia, in ogni caso, è come si dice, adatta a "fissare" il pensiero, (quasi in senso ermetico) il paradosso che è che, per dare la sua massima resa, non deve essere forzata con uno sforzo corporale o mentale.
- Allentamento perfetto, acquietamento, "stato naturale" costituiscono il campo o lo sfondo su quale bhā-vanā può spiegarsi pienamente.
Questo accade perché, in questa via, vigilanza e lucidità sono indispensabili, quanto l ' "immaginazione vera." Inoltre bisogna precisare che la spontaneità non è lo "spontaneismo", come lo intendono certe correnti mo-derne. Non si tratta di una "mistica selvaggia", di una questua cieca ed infra-razionale di sensazioni occulte, non è ricerca di inquietudine o di estasi ad ogni costo.
- Essere aperto alla Totalità non vuole dire accettare qualsiasi cosa.
- Come ogni via indiana, il Trika suppone dunque un'iniziazione, un clima spirituale, un inquadramento, una prospettiva. La straordinaria libertà e varietà dei mezzi proposti può essere seducente ma non deve far dimenticare per niente la sua esigenza ed il suo carattere irriducibile ad ogni volgarizzazione.
- Per entrare lì, per non ci si deve perdere, si deve avere una "vocazione", una predisposizione "eroica" o "divina." É un sistema elitario, anche se non si stabilisce su criteri di razza, di casta, di sesso, di morale con-venzionale o di sapere libresco.
- Là la scelta viene fatta ancora con il cuore e la trasmissione si opererà "da cuore a cuore".
Abhinava-Gupta risponde:
"Occorre che il saggio penetri nel suo cuore nel momento in cui la sua energia è molto eccitata; quando si im-merge nella pura energia soggettiva; quando accede all'estremità di tutte le nâdî; quando l'energia si ritrae nel Sé universale e sboccia, integrandosi a tutto l'universo. "
Uno dai Tantra più venerati del Cachemire, il Vijñâna-Bhairava, dice:
Il primo di questi mezzi fa allusione all' "effervescenza dell'energia" (shaktishobha), allo shock vibratorio che può suscitare, in un essere di sensibilità affinata e dotato anche di vîrya, ( la stessa radice del latino vir = forza, da cui virile ma anche vergine, in sanscrito ha un accezione come di “eroismo,nobiltà”).
Ogni piacere sensuale difatti rinvia all'energia della felicità divina (ânandashakti), o "punta" verso questa beatitudine, o ne è un riflesso se si guardano le cose in senso inverso; ogni desiderio, intimamente, è desiderio del Sé nella sua pienezza. Il godimento, che sia estetico o da innamorati, è per sua natura unificazione, abolisce o sospende la dualità tra soggetto ed oggetto. Il profano vive generalmente questi momenti come se fossero un pignoramento avido od un compenso ad un malessere - un chiarore breve in un'esistenza smorta -
- lo yogî ci si stabilisce con freschezza lucida fino a ritrovare il "sapore", rasa, della sua vera natura. Assiste in sé allo spiegamento ed al riassorbimento dell'energia, egli, "torna", per così dire, all'energia in coscienza, sposa così il movimento passionale o emozionale, se ne rende padrone e se ne stacca.
- "Si percepisce la prima vibrazione della volontà nella regione del cuore nel momento in cui ci si ricorda di qualche cosa che si deve compiere, ma che si era dimenticato; nell'istante preciso in cui si apprende una notizia che causa una grande felicità; quando si prova una paura inattesa; quando si percepisce in modo imprevisto una cosa che non si era mai vista; e tanto quando si recita un testo in un modo molto ritmato o durante una corsa scatenata.
- In queste molteplici circostanze, tutte le energie della coscienza sono frementi (vilolatâ) ed sono mescolate le une con le altre in un solo atto vibrante. " Così tutte le emozioni fortuite della vita (gioia, sorpresa, apprensione, spavento, panico, delusione, vessazione, frustrazione, curiosità, collera, fame, sete, capogiro ed anche starnuto...) possono essere positivamente sfruttate e ri-orientate, almeno quando raggiungono un certo parossismo, una certa intensità vibratoria e soprattutto quando "sono denudate",
- Nell'istante preciso della loro apparizione, ogni emozione o passione, tutto, ogni tendenza psichica è "pu-ra", unica, indifferenziata; la coscienza la penetra totalmente, la dualità non esiste. L'errore ed il pericolo nascono solamente quando l' "io", in un primo tempo unito all'esperienza, se ne distingue (cosa che accade molto rapidamente), le pensa e le riguarda come argomento, agente, sperimentatore: sono furioso, sono triste, sono gioioso, ecc.
- più il movimento emozionale è forte, più l'ego è lento a ricostituirsi: è "scavalcato" e privo dei suoi riferimenti, questo istante di smarrimento può essere una fortuna spirituale. Il silenzio, il vuoto, lo spodestamento sostituiscono il tumulto e, non avendo più niente da afferrare né a cui aggrapparsi, l'essere all'estremo delle risorse può trovarsi infine faccia a faccia con la sua vera natura, il "re è nudo".
È allora la "Riconoscenza" un ritrovare, ma in un modo inatteso, un essere caro, dopo una lunga separazione.
La maggior parte di questi mezzi di risveglio sono in qualche modo forniti dalla vita ed non li si può provocare, li si può solamente accogliere per trasformarli quando spuntano. Se hanno il favore degli shivaiti, è proprio a causa di questo carattere non costruito, non mentale, non prevedibile, rispetto ad altri procedimenti.
La conoscenza approfondita dei chakra, delle nâdi, altrimenti detta del corpo energetico, fa parte di questa tradizione, anche se la descrizione che ne dà differisce talvolta di quella delle scuole meglio conosciute in Occidente.
- i chakra, (se ne distingue essenzialmente cinque) sono intesi come"ruote" vorticose e vibranti;
- le nâdi - nella stessa prospettiva dinamica - non sono dei condotti statici ed identici per tutti, per cui l'energia circola ma delle "correnti", dei "flussi" che si deve imparare a captare, a vivificare, a dilatare o ad acquietare, particolarmente a partire dal cuore.
- Lo spostamento di queste energie molto sottili è descritto di buon grado come un brulichio ed il Vijñâna-Bhairava (66) fa anche allusione alle tecniche di sfioramento o di "solletico" delle ascelle o di altri luoghi particolarmente sensibili per suscitare lo sboccio della coscienza.
- per comprendere l'affinità tra la sensibilità tattile ed i cuori, bisogna riferirsi al sistema di corrispondenze tra gli elementi (bhûta), le facoltà di sensazione e di azione, indriya, ed i chakra. Il cuore corrisponde all'a-ria, al tatto alla “facoltà di presa” ed alla pelle, così come alla facoltà di godimento ed al sesso, se si segue il Satcakranirûpana, ma questo punto di vista non è comune a tutte le scuole.
- In quanto al cuore, quando non è visualizzato come una ruota radiosa a dodici petali, è descritto come un cofanetto rotondo e cavo, fatto di due loti intrecciati,: il loto superiore, secondo un commento, raffigura la conoscenza ed il loto inferiore, l'oggetto, conosciuto; tra essi, nel vuoto intermedio (madhya), risiede il soggetto che conosce (V.B). 49.
Bisogna specificare altra parte che la "vacuità" nella dottrina Trika è differente da quella che si incontra nei te-sti Mâdhyamika, sebbene alcune influenze reciproche non siano escluse e che, su un piano operativo, il tantrismo, indù ed il tantrismo buddista offrono delle grandi similitudini. Non si tratta qui di svuotare dall'essere, eliminare il Sé che resta indistruttibile, insostituibile per gli indù perché si confonde con la Coscienza stessa, ma di svuotare "questo essere", se si può dire, di tutto questo ciò che è "oggettivo", mentale o materiale, nome-e-forma), consiste nello "dis-oggettivare".
- "la vacuità è la Coscienza che, riflettendo su sé stessa, si percepisce come distinta da tutto, l'oggettività dicendosi: "non sono ciò (neti, neti)." Tale è lo stato più elevato al quale accede lo yogin", Tantrâloka VI, 10. Gli indù non rinunciano mai al Sé ma essi non lo concepiscono neanche come un limite. Il Sé è essere al tempo stesso sia il non-essere, che oltre all'essere e non-essere, oltre alla pienezza e vacuità
- Rievocare, per mezzo della bhâvanâ, la vacuità in non importa in quale punto del corpo, in modo istanta-neo ed abbagliante;
- o stendere questa vacuità all' "oggetto corpo" tutto intero; meditare su questo come se non contenesse niente al'interno, la pelle è solamente un "muro", una pellicola diafana tra due vuoti, ecc.:
- tutto ciò, in una certa misura, si apprende ma cozzerà spesso contro resistenze insospettate. L'individuo non accetta facilmente di lasciare la prigione che lui stesso si è costruito.
Una cosa è giocare filosoficamente con l'idea della vacuità ma è un'altra questione realizzarla direttamente nel proprio corpo e nel proprio mentale, fino a non essere più che una forma vuota, un'energia senza contorni, senza limiti, risplendente e vibrante. Richiedono un'arte anche le pratiche del respiro quando sono interiorizzate e non ridotte ad un semplice vir-tuosismo respiratorio in vista di ottenere dei "poteri."
- Il respiro respirato (prâna in questa tradizione) parte dal cuore e va' a morire in un "punto" localizzato a dodici larghezze di dito dell'estremità del naso, il "dvâdashânta, esterno");
- da questo punto, con l'ispirazione (apâna), il respiro ritorna riposarsi nel cuore: è là lo stadio elementare del metodo che, tuttavia, inseguito seriamente, porta già l'equilibrio e la quiete.
- In un stadio ulteriore e superiore, il, respiro sarà verticalizzato, condotto dal cuore, in basso, fino alla coro-na della testa, in alto, il "dvâdashânta interno"),
- l'espirazione essendo sempre concepita come forza ascendente e l'ispirazione come forza discendente. In questo trasferimento, del resto spontaneo, dell'orizzontalità alla verticalità, dall' ampiezza all'esaltazione,
- si sarebbe tentati di scorgere ciò che altre tradizioni hanno chiamato il passaggio dai "piccoli misteri" ai "Grandi Misteri" .
Nel Trika bisogna guardare più avanti, perché questa tradizione non stabilisce una gerarchia tanto netta tra i centri e non considera la progressione da uno all'altro in un modo tanto sistematico.
- l'energia è dovunque - come la coscienza - e può sbocciare a partire da qualsiasi chakra. Se si raccomanda di svegliarla a partire dal cuore, è soprattutto perché questo centro, per sua natura "vuoto" e mediano, possiede spontaneamente un potere unificante che si trasmette senza sforzo a tutti gli altri
- Ma, anche se si localizza Shakti nel cuore e Shiva nella fontanella, o l'inverso che si incontra anche, ciò non implica mai uno rapporto di subordinazione poiché Shakti è Shiva e Shiva è Shakti
- È tra questi difatti che il risveglio buca, sgorga e risplende, il movimento, l'alternanza ci mantiene sempre nella dualità. Intervalli dunque tra i respiri, (la parola"ritenzione" esprime male questi intermezzi)
- quindi anche tra i pensieri, le percezioni, i desideri ed anche tra gli oggetti materiali, (tutto quello che è fa-glia, apertura, interstizio).
- il vuoto non è estremo: è ancora un oggetto, dunque un ostacolo, finché ci si contrappone ad un argomento che si percepisce come "vuoto" e si percepisce sé come "essendo vuoto."
- diversamente, bisogna essere capace di realizzare il sé vuoto come vuoto. Allora questo "vuoto-dal-vuoto" (espressione che si trova anche nello speculazione mahâyâniche) "può essere ribaltato" per riassorbirsi nella Pienezza, sentita qui non come il "contrario" del vuoto ma come Paramashiva, il senza-limite, la Totalità, la negazione di ogni negazione, dunque l'assoluta Positività.
- lo stato di veglia e lo stato di sogno, l'addormentamento è un passaggio inafferrabile per l'uomo ordinario tra il mondo degli oggetti sensibili ed il mondo degli oggetti mentali.
- Ponendo la propria coscienza nel suono del cuore, ponendola attivamente perché, di fatto, questo trasferimento si produce da solo nel sonno, si ottiene la "padronanza dei sogni", questo significa la capacità di passare dallo stato passivo ed allucinatorio del sogno abituale, carico dei resti dello stato di veglia, allo stato, pienamente cosciente e spiritualmente diretto, del sogno lucido (V.B). 55.
- L'altro passaggio, quello dal sonno al risveglio, non dovrebbe di meno trattenere l'attenzione.
Difatti il mondo non esiste indipendentemente dalla coscienza. L'oggetto appare con il soggetto, e sparisce quando il soggetto non c'è. Vegliando, sognando, dormendo senza sogni, passiamo di mondo, questo signi-fica da uno stato di coscienza, all'altro, e nessuno è più o meno "reale" dell'altro. Da un punto di vista estremo, l'universo non ha mai avuto inizio e non è mai finito per la semplice ragione che il tempo non esiste, non c’è un passato, che è un semplice fenomeno della memoria, ne’ il futuro, sempre proiezione della memoria, e neanche un presente (che, appena pensato, è già passato).
Non ci sono che istanti sempre "attuali", appena la coscienza li afferra questi non esistono più, non c'è una so-stanza chiamata "Tempo" che collegherebbe questi istanti tra loro, da nessuna parte.
L'istante, in verità, è solamente la "durata di un atto di coscienza." (Abhinavagupta, Tantrasâra, 60)
Questa coscienza unica "misura", sopporta le cose e presta loro una realtà. Lo yogî che non crede al Tempo, sa infilarsi nel vuoto interstiziale che divide gli istanti successivi, li disgiunge e li slega, per raggiungere il Cuore, l'istante-shock, l'istante eterno.
Al termine di questo viaggio al centro del Sé di cui abbiamo schizzato solamente alcuni aspetti, il pellegrino, diventato "re degli yogî" (yogîndra), avrà acquistato, senza veramente cercarlo, il doppio potere di Shiva: quello di ritrarre il mondo in uno solo punto, (samâdhi ad occhi chiusi: nimîlaramâdhi), e quello di manife-starlo, in una libera e totale espansione dei sensi, (samâdhi ad occhi spalancati: unmîlanasamâdh)i. Ed allora cosa gli resterebbe da compiere? Liberato di tutto, è libero da tutto. Niente gli è esterno. Percepisce tutto in lui come suo proprio Sé ed il suo corpo limitato è diventato il corpo cosmico di Bhairava, la "Meraviglia cosmica" (vapus). Uno con Shakti, indiscernibile da lei, "si conosce di per sé stesso." Nei confronti degli "altri" - che non vede più come realmente separati di lui - è solamente grazia, amore, sfavillio di doni e di favori. Se non è diventato ancora un "liberato in vita" (jîvan-mukta), la morte che non è altro, anche lei, che un intervallo e gli darà l'opportunità di fondersi infine nel Cuore di Shiva, il Molto-benefico.
liberamente tradotto da
LE COEUR DANS LE SHIVAISME TANTRIQUE DU CACHEMIRE
Pierre Feuga
Nessun commento:
Posta un commento